giovedì 3 settembre 2009

In 15 foto le prove del massacro dei somali a Benghazi

da fortresseurope.blogspot.com

Adesso abbiamo le prove.
Sono quindici foto in
bassa definizione.
Scattate con un telefono cellulare e sfuggite alla censura della polizia libica con la velocità di un mms. Ritraggono uomini feriti da armi di taglio. Sono cittadini somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal deserto libico porta dritto a Lampedusa. Si vedono le cicatrici sulle braccia, le ferite ancora aperte sulle gambe, le garze sulla schiena, e i tagli sulla testa. I vestiti sono ancora macchiati di sangue. E dire che lo scorso 11 agosto, quando il sito in lingua somala Shabelle aveva parlato per primo di una strage commessa dalla polizia libica a Bengasi, l'ambasciatore libico a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur, aveva prontamente smentito la notizia. Stavolta, smentire queste foto sarà un po' più difficile.
A pubblicarle per primo sulla rete è stato il sito Shabelle. E oggi l'osservatorio Fortress Europe le rilancia in Italia. Secondo un testimone oculare, con cui abbiamo parlato telefonicamente, ma di cui non possiamo svelare l'identità per motivi di sicurezza, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali, ma anche eritrei. Nessuno di loro però è stato ricoverato in ospedale. Sono ancora rinchiusi nelle celle del campo di detenzione. A venti giorni dalla rivolta.
Tutto è scoppiato la sera del 9 agosto, quando 300 detenuti, in maggioranza somali, hanno assaltato il cancello, forzando il cordone di polizia, per scavalcare e fuggire. La repressione degli agenti libici è stata fortissima. Armati di manganelli e coltelli hanno affrontato i rivoltosi menando alla cieca. Alla fine degli scontri i morti sono stati sei. Ma il numero delle vittime potrebbe essere destinato a salire, visto che ancora non si conosce la sorte di un'altra decina di somali che mancano all'appello.
Il campo di Ganfuda si trova a una decina di chilometri dalla città di Bengasi. Vi sono detenute circa 500 persone, in maggior parte somali, insieme a un gruppo di eritrei, alcuni nigeriani e maliani. Sono tutti stati arrestati nella regione di Ijdabiyah e Benghazi, durante le retate in città. L'accusa è di essere potenziali candidati alla traversata del Mediterraneo. Molti di loro sono dietro le sbarre da oltre sei mesi. C’è chi è dentro da un anno. Nessuno di loro è mai stato processato davanti a un giudice. Ci sono persone ammalate di scabbia, dermatiti e malattie respiratorie. Dal carcere si esce soltanto con la corruzione, ma i poliziotti chiedono 1.000 dollari a testa. Le condizioni di detenzione sono pessime. Nelle celle di cinque metri per sei sono rinchiuse fino a 60 persone, tenute a pane e acqua. Dormono per terra, non ci sono materassi. E ogni giorno sono sottoposti a umiliazioni e vessazioni da parte della polizia.
Sull'intera vicenda, i deputati Radicali hanno depositata lo scorso 18 agosto un'interrogazione urgente al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri, chiedendo se l'Italia “non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia”. Probabilmente la risposta all'interrogazione tarderà a venire in sede parlamentare. Ma nella realtà dei fatti una risposta c'è già. E il respingimento dei 75 somali di ieri ne è la triste conferma.
Siamo finalmente riusciti a parlare telefonicamente con uno di loro. A bordo erano tutti somali, ci ha detto. E avevano chiesto ai militari italiani di non riportarli indietro, perché volevano chiedere asilo. Inutile. In questo momento, mentre voi leggete, si trovano nel centro di detenzione di Zuwarah. Da quando sono sbarcati, ieri alle tredici, non hanno ancora ricevuto niente da mangiare. Né hanno potuto incontrare gli operatori dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite di Tripoli. Li hanno rinchiusi in un'unica cella, tutti e 75, comprese le donne e i bambini. Nessuno di loro ha idea di quale sarà la loro sorte. Ma nessuno si azzardi a criticare l'Italia per la politica dei respingimenti o per l'accordo con la Libia. Tanto meno l'Unione europea e i suoi portavoce...
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giovedì 6 agosto 2009

Quotidiane violenze nei Lager dello Stato Italiano

Un racconto tremendo, e un appello, dal Cie di Ponte Galeria vicino Roma. Nella serata di lunedì arriva nel centro un gruppo di immigrati algerini, appena trasferiti dall'areoporto di Bari. Tra di loro c'è anche un ragazzo gravemente malato di cuore, che si lamenta e protesta: la polizia non ha infatti provveduto a portare da Bari le medicine che deve prendere ogni giorno. Ma invece di procurare i farmaci, i poliziotti lo portano in infermeria e poi in cella di sicurezza. Lì lo massacrano di botte, come succede ogni giorno, nel silenzio e nella complicità di colleghi, autorià e assistenti sanitari e sociali omertosi.
Quando lo riportano in sezione è pieno di lividi e sangue e durante la notte si sente malissimo: i suoi compagni danno l'allarme e il ragazzo algerino viene portato via dal Centro-lager a bordo di un ambulanza. La mattina dopo, i suoi compagni di sventura che cercano di diffondere come possono la notizia degli avvenimenti della notte, vengono raggruppati e portati via. Tutti pensano ad un rimpatrio, e solo la serà si saprà che il gruppo in realtà è stato messo in "isolamento" nel reparto delle donne, per evitare che continuino a spargere la notizia del pestaggio. Intanto, durante tutto il giorno, del ragazzo malato di cuore non si ha più nessuna notizia. Passano le ore, e i reclusi del Centro si ricordano di Salah Soudami, morto soltanto cinque mesi fa in circostanze pressochè identiche, e pensano al peggio. Vogliono sapere come sta, se è vivo o morto, e dove si trova. Lo hanno chiesto alla Croce Rossa, e non hanno avuto risposta. Lo hanno chiesto pure agli agenti-guardiani, che naturalmente si sono ben guardati dal rispondere.

martedì 14 luglio 2009

Oggi sciopero!


Il cosiddetto "obbligo di rettifica imposto al gestore di qualsiasi sito informatico (dai blog ai social network come Facebook e Twitter fino a .... ) appare chiaramente come un pretesto, un alibi. I suoi effetti infatti - in termini di burocratizzazione della Rete, di complessità di gestione dell'obbligo in questione, di sanzioni pesantissime per gli utenti - rendono il decreto una nuova legge ammazza-internet.
Rispetto ai tentativi precedenti questo è perfino più insidioso efurbesco, perché anziché censurare direttamente i siti e i blog li mettein condizione di non pubblicare più o di pubblicare molto meno, con unanorma che si nasconde dietro una falsa apparenza di responsabilizzazionema che in realtà ha lo scopo di rendere la vita impossibile a blogger eutenti di siti di condivisione.
I blogger sono già oggi del tutto responsabili, in termini penali, di eventuali reati di ingiuria, diffamazione o altro: non c'è alcun bisognodi introdurre sanzioni insostenibili per i "citizen journalist<http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_partecipativo> " se questi non aderiscono alla tortuosa e burocratica imposizione prevista nel DecretoAlfano.
La pluralità dell'informazione, non importa se via internet, suigiornali, attraverso le radio o le tv o qualsiasi altro mezzo,costituisce uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e,probabilmente, quello al quale sono più direttamente connesse la libertàe la democrazia.
Con il Decreto Alfano siamo di fronte a un attacco alla libertà di ditutti i media, dal grande giornale al più piccolo blog.

Adesioni su http://dirittoallarete.ning.com/

martedì 7 luglio 2009

Ancona - Una Giornata Senza Frontiere - Giovedì 9 Luglio


Da Vicenza all’Aquila, da Roma ad Ancona, dal 2 al 10 luglio a contestare il G8 della crisi saranno le comunità che difendono i beni comuni dalla devastazione ambientale e dalle basi di guerra, che si battono per il reddito, il diritto alla casa, per estendere spazi di libertà contro i dispositivi autoritari.Quelle comunità che vogliono riprendersi il diritto di decidere sul loro futuro, e rivendicare indipendenza e autonomia.
Quelle comunità che hanno intessuto reti solidali con le popolazioni abruzzesi colpite dal sisma che in quei giorni protesteranno contro la militarizzazione della gestione dell'emergenza e per un progetto di ricostruzione sociale dal basso.
Nelle Marche l'appuntamento é al Porto di Ancona, alle porte d'oriente dei nostri territori.Porte che si vorrebbero chiuse al bisogno di libertà e dignità affidato al mare da migliaia di migranti. Chiuse dalla frontiera della guerra all'umanità in fuga dall'oppressione e dalla disperazione.
Nel porto di Ancona ogni giorno si violano i più elementari diritti umani, si nega sistematicamente il diritto di asilo. Ogni giorno, profughi e richiedenti asilo, uomini e donne che scappano dall'Afghanistan o dall'Iraq, vengono direttamente respinti dalla polizia di frontiera e reimbarcati nel viaggio di ritorno verso l'inferno del campo profughi di Patrasso. Uomini e donne che, come Amir, incontrano la morte soffocati nei container o schiacciati dai tir.
Giovedì 9 luglio vogliamo una Giornata Senza Frontiere: una giornata per liberare il porto di Ancona dalle barriere e dalle gabbie dove si infrangono quei desideri di libertà e dignità che vengono dal mare.
Una Giornata Senza Frontiere per aprire alla cittadinanza senza confini lo spazio negato del porto, perché ritorni ad essere un bene comune di tutta la città.
Una Giornata Senza Frontiere per rivendicare l'indipendenza e l'autonomia delle comunità che vogliono rovesciare la crisi in opportunità di decisione comune sulla trasformazione del presente.
Una Giornata Senza Frontiere per dire basta alla vergogna dei respingimenti, per abbattere l'infrastruttura securitaria del nuovo razzismo aprendo le porte d'oriente alla libertà e ai diritti.
Ancona - Giovedì 9 luglioUna Giornata Senza Frontiere
Comunità Resistenti delle Marche contro il G8Ambasciata dei DirittiAssociazione Ya Basta! Marche

PASSA LA LEGGE 733B: DIRITTI ANNIENTATI PER LA "NOSTRA SICUREZZA"...

La legge 733 b, meglio nota al pubblico come “pacchetto sicurezza” è da oggi legge. A poco sono serviti i rilievi avanzati nel corso di questi mesi, da associazioni e istituti che sulle problematiche dell'immigrazione lavorano attivamente, a nulla le perplessità espresse anche nell'ultima relazione del CSM. A nulla le ipostesi di incostituzionalità avanzate da giuristi illustri.Diventa realtà: l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare sul suolo italiano, il permesso di soggiorno a punti, la necessità di esibire tale permesso per qualsiasi atto di stato civile ( quindi anche per la registrazione di una nascita), l'esame di lingua italiana, il prolungamento dei tempi di permanenza nei CIE fino a 180 giorni, la pena fino a tre anni di carcere per chi affitti a immigrati irregolari e per oltraggio a pubblico ufficiale, la stretta sui ricongiungimenti familiari,il certificato di abitabilità indispensabile per l'iscrizione anagrafica, la regolarizzazione delle “ronde cittadine”."Trattare gli immigrati come criminali non risolverà le sfide che l'immigrazione pone all'Italia. Questo disegno di legge incoraggia soltanto l'intolleranza o peggio, nei confronti di individui che fanno una vita già abbastanza dura...” A pronunciarsi in questi termini era stata, qualche giorno fa, Human Rights Watch, nota organizzazione internazionale che si batte per la difesa dei diritti umani in ogni parte del mondo. Se si pensa che la stessa voce si alza continuamente per condannare, l'Iran, o la Birmania, o anche la Cina per la questione tibetana... questo dovrebbe quanto meno far riflettere.Ma pesanti denunce sono contenute anche all'interno del rapporto annuale di Amnesty international.La preoccupazione maggiore è legata all'impossiblità, da parte del migrante irregolare di avere accesso a diritti fondamentali come quello alla salute e all'istruzione. Difatti, nonostante un finto passo indietro da parte del Governo, il codice penale italiano impone al pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, la denuncia dell'immigrato irregolare in quanto “reo”: ad essere tirati in causa sono dunque medici, insegnanti e presidi.
Già prima dell'entrata in vigore della norma, alcune organizzazioni sindacali e di categoria avevano denunciato una netta diminuzione di stranieri nei pronto-soccorso; la stampa ha dovuto registrare le prime vittime: come Ylenia, la badante moldava morta dissanguata in Puglia perchè... “clandestina”. Parallelamente a questo diventa sempre più concreto il rischio che nasca e si alimenti “un mercato nero della salute” a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.In tutto il paese sono nati movimenti e comitati spontanei che in questi mesi hanno cercato di smascherare la “bugia” securitaria dietro la quale si nasconde difatti una strategia di controllo sociale e lo smantellamento di diritti universalmente riconosciuti, non solo per i migranti. Ma ciò non è bastato.
Poco conta, adesso, che delle persone, la cui unica colpa era quella di essere “clandestini” siano già morte per paura di rivolgersi a un pronto soccorso, ancor prima dell'entrata in vigore della legge. Poco conta che un insegnante, d'ora in poi, possa decidere di denunciare i genitori di un bambino i cui permessi di soggiorno non siano in regola, o che un padre o una madre non possano regolarizare un figlio per lo stesso motivo, ancor meno conta che una persona possa venire privata della propria libertà fino a 180 giorni solo perchè non possiede un “pezzo di carta” che la renda “umana”...
Il diritto internazionale e i diritti sanciti dalla nostra costituzione hanno oggi subito un colpo enorme, di cui forse non si ha ancora piena coscienza, in nome di una sicurezza usata come strumento di propaganda a fini elettorali.
La vera sicurezza la si costruisce a partire dall'analisi di un mondo in continuo divenire in cui la multiculturalità rappresenta un traguardo inevitabile e non attraverso la sua negazione.
A fronte di una deriva sancita a norma di legge forse l'unica speranza può essere ancora legata alle dimensioni locali.
In alcune regioni, Marche e Toscana, per esempio, ma ancor prima nel Lazio, in Campania e in Calabria, le leggi regionali sull'immigrazione recentemente approvate rappresentano un'inversione di rotta rispetto ad una deriva xenofoba “legalizzata”, a dimostrazione del fatto che è solo partendo dal criterio di “cittadinanza sociale” che si possono costruire modelli di società aperti e plurali.
Di sicuro un ruolo fondamentale continuerà ad essere giocato dalla società civile ancora capace di indignarsi e di non dimenticare che un tempo i clandestini, i senza diritto, i migranti... eravamo noi!

mercoledì 1 luglio 2009


"LE ROTTE DELL'IMMIGRAZIONE"


ORVIETO
presso
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE POPOLARE
Via Magalotti, 20
(a due passi da
Piazza della Repubblica)

Sabato 11 Luglio '09
ore 20.30
Cena di sottoscrizione
a seguire
Proiezione videodocumentari
- A sud di Lampedusa (2006)
- Come un uomo sulla terra (2008)


martedì 16 giugno 2009

Cosa c'è dietro le Ronde nere. Parla Saverio Ferrari

(da Peacereporter)
Saverio Ferrari è uno studioso delle destre e delle loro trasformazioni. Lo fa con cura meticolosa, analizzando testi, inchieste, notizie accumulando una memoria utile per comprendere fenomeni che apaiono, molto spesso, come schegge isolate. In questa intervista ripercorre i momenti salienti della vicenda DSSA, di Getano Saya.


Il DSSA venne alla luce nel luglio del 2005 quando le procure di Genova e di Milano fecero tre arresti e venticinque perquisizioni. Il Dipartimento di studi strategici antiterrorismo era una struttura illegale parallela rispetto all'intelligence. L'indagine era nata un anno prima, quando si cercava di trovare una pista su Fabrizio Quattrocchi e la sua presenza in Iraq nell'ambito dei mercenari. L'apparato era illegale, una delle strutture era collegata a un movimento politico, la Destra nazionale- nuovo Msi e a un sindacato, l'Unione nazionale forze di polizia. Due strutture che facevano da interfaccia a questo apparato che si era costituuito dopo gli attentati dell'11 marzo del 2004 a Madrid. Stiamo parlando di una vicenda che riunisce una congrega di spie e neofascisti, ma soprattutto di poliziotti che, a parer mio, non erano solo dei pataccari, perché nel corso delle indagini si era visto come potessero avere diretto accesso alle banche dati del Viminale, oltre al fatto che potevano contare su legami con il Sismi.Ci furono, allora, siti internet oscurati dalla magistratura: su uno di questi era comparso l'annuncio della costituzione di reparti di protezione nazionale, una struttura paramilitare con tanto di divisa, basco, camicia e cinturone nero che, secondo le intenzioni, dovevano funzioanre a supporto delle forze armate in caso di pericolo, che poi era individuato nel terrosimo di stampo islamico.

Erano credibili?
Stiamo parlando di una struttura illegale di neofascisti che la sparavano anche grossa, perché lo stemma del DSSA è una specie di modifica dello stemma della Cia. Gli agenti che operavano si dichiaravano ex agenti con passato da gladiatore e il loro capo, Gaetano Saya, diceva di essere un massone e non di poco conto, perchè si definiva un Maestro venerabile della loggia Divulgazione 1.

Una storia nuova, oppure in passato, dopo la scoperta della loggia P2, ci si era imbattuti in organizzazioni simili?
Una storia che non è nuova nelle forze di apparati segreti e polizia. Nel nostro Dopoguerra, sorpassata la Loggia P2, abbiamo conosciuto strutture simili, che sono state inquisite e messe alla berlina quando, secondo me dovevano essere studiate di più.

Esempi?
Il progetto Arianna, costituito in chiave antidrioga. Una struttura clandestina in cui erano arruolati agenti appartenenti alle forze dell'ordfine. Oppure il caso degli Elmetti bianchi, anche qui con agganci internazionali, formati da ex poliziotti, che ebbe una qualche notorietà nel corso delle indagini su Telecom Serbia. La Legione Brenno, nata all'inizio della guerra serbo-croata, in cui si diceva che si doveva difendere la frontiera dell'Occidente minacciato. La Legione era costiutita da poliziotti, carabinieri ed ex agenti segreti. Ce ne sono altre, come la Falange armata, siamo ai primi anni '90, una agenzia che tendeva ad aumentare la tenisone con lettere e bossoli con elementi che facevano risalire a contatti con elementi della Settima divisione del Sismi. Si tratta di realtà che non dovevano essere sottovalutate perché ci dicono che le deviazioni esistono e continuano ad avvenire.

Istituzionalizzate le ronde, quindi, le formazioni come quelle di Saya possono operare sotto l'egida della legalità.
Gaetano Saya è molto attivo. Nel 2005 avvenne quel fatto gravissimo dell'attuale presidente del Consiglio - era in carica anche allora - che si rivolse alla sua strtuutra per un'alleanza elettorale. Saya era agli arresti domiciliari proprio per l'inchiesta sulla DSSA e all'incontro con berlusconi ci andò la moglioe, con tanto di foto. L'incontro non portò a nessun tipo di accordo elettorale. Credo che oggi questo personaggio abbia colto la palla al balzo, che si si ainfilatop nelle pieghe del decreto sicurezza. Con la storia delle ronde quello che una volta si faceva in gran segreto adesso si può fare allo scoperto con la legittimazione di strutture che possono girare per le strade delle metropoli ancora una volta con lo stesso obiettivo, un filo di continuità contro l'invasione 'dei barbari islamici'.

Angelo Miotto